Non ho mai scritto in un blog, non ne ho mai sentito l’esigenza. E mi scuso se il “registro” potrà non sembrare del tutto adatto.
Ma mi si strazia il cuore a vedere un pezzo della mia “esistenza” che si sgretola con un insopportabile senso di estraneazione. Non mi sembra vero ciò che vedo.
Calcisticamente parlano si intende. O forse no…
Parlo della Lazio, quella che ho imparato ad amare da piccolino, quando mio padre mi teneva sulle spalle e mi indicava i giocatori un per uno, allo stadio, insieme, quando ancora il calcio non faceva “paura” alle famiglie.
La Lazio che all’epoca giocava in B. Ed era stupenda agli occhi di un bimbo di 5 anni.
Quella che la domenica mattina si respirava già nell’aria, nelle fredde giornate di novembre, o nelle luminose giornate di marzo.
Quella dell’attesa nello stadio da adolescente con gli amici, quella del “comunque vada oggi ce la godiamo”.
Quella dell’attesa nello stadio da adolescente con gli amici, quella del “comunque vada oggi ce la godiamo”.
Parlo della Lazio, quella che vincente nel 2000, appena compiuti 18 anni sotto braccio alla mia futura moglie, mi mandava in delirio con tutto lo stadio, il mio paese, la mia gente: non dimenticherò mai la festa, la gioia e l’amicizia del popolo laziale e, perché nò, anche di quello simpatizzante: uno dei più bei giorni della mia vita.
Parlo della Lazio, quella del sofferto declino, quella del “vuoi non vuoi, ora siamo qui, ora siamo diventati solo questo”.
La Lazio del popolo laziale, lo stesso che dopo molti anni si aggredisce a vicenda e si lecca le ferite.
La Lazio del popolo laziale, lo stesso che dopo molti anni si aggredisce a vicenda e si lecca le ferite.
Prima ancora di giudicare un improbabile gestione della squadra, ditemi che quella gente che vedo intorno non è veramente il mio popolo laziale.
Lo stesso che dopo 28 anni di passione mi lascia solo con la nostra squadra. SUA, nell’intimo delle proprie passioni e del proprio credo. La squadra degli 11 che, campioni o brocchi (non il giocatore) che siano, non posso non essere convinto che non diano del proprio meglio ogni domenica in campo.
Lasciati soli. Proprio come me, come tutti coloro che ancora credono. Credere non necessariamente in una gestione degna o indegna che sia, ma in quegli 11 a cui certo non gioverà essere lasciati senza supporto, una protesta verso chi a sua volta vive quotidianamente una cattiva gestione.
Ormai conosciamo la testardaggine del nostro caro “L’hoTrito”. Io non gli ne voglio (oltre una certa misura), ma sappiamo che in passato questa testardaggine di cui è dotato non l’ha mai piegato a nessun cambiamento: neppure di fronte a una forte perdita economica a parametro 0 di grandi nomi.
Non cambierà, ne sono certo. Lui no.
Chi cambia siamo noi, chi a uno spettacolo così bello quale è il calcio e la Lazio ha deciso, fosse anche solo per un anno, di rinunciare.
Cambiamo noi che rifiutando un comportamento arrogante, ci poniamo con altrettanta arroganza. Noi che ci siamo divisi tra disillusi, impoltronati, arrabbiati e illusi.
Io mi sento un illuso. Sono certo di essere giudicato un illuso. Perché prima ancora che nel calcio dei Moratti, delle Cupole, dei debiti e dei business, delle TV a pagamento e degli sponsor, dell’ultimo decennio di guano sportivo insomma, prima ancora di tutto ciò credo nella Lazio.
E Lazio non è un lui, un loro o un voi: è un NOI. Non so se la Lazio vivrà un altro anno di mediocrità come lo scorso. So solo che restandomene a casa non farò di certo del bene a NOI. Noi che viviamo tanto di quel fattore campo, dell’accorato incitamento dei nostri 11, una delle tifoserie che per anni ha creato le più belle coreografie del campionato, una delle 2 squadre che mostra all’Italia il più bel Derby che questo sport possa offrire, la Lazio che si ama come una meravigliosa donna con i suoi (tanti) difetti.
Forse guardando in avanti dalla curva anche quest’anno soffrirò. Ma se mi volterò dietro e non vedrò nessuno soffrirò molto di più.
Restare a casa, in queste condizioni, non aiuta nessuno: lasciarli (e lasciarci) soli può soltanto spingerci prima e peggio nel baratro.
Perché se la Lazio dovesse retrocedere, o peggio scomparire, mi sentirei il primo colpevole (persino ancor prima della dirigenza) per non esserci stato, per non avergli dato supporto, per non averci creduto.
Perché se la Lazio dovesse retrocedere, o peggio scomparire, mi sentirei il primo colpevole (persino ancor prima della dirigenza) per non esserci stato, per non avergli dato supporto, per non averci creduto.
Aiutare gli 11 in campo è un mio dovere (e un piacere) fin quando avrò forza e fiato in gola.
Anche solo o con pochi di noi, fino alla fine dei 90?, “non mollerò mai”.
Anche solo o con pochi di noi, fino alla fine dei 90?, “non mollerò mai”.
Come quel ragazzino di 5 anni che alla mattina si svegliava con una sciarpa in mano e pensava subito alla giornata vissuta per la Lazio.
Come quel ragazzino che domani, mi auguro sulle mie spalle, continuerà a crederci, a urlare e sorridere comunque felice di quel grande grande spettacolo che è la Lazio.
Fosse anche in B, non mi importa!
Grazie Lazio, da sempre i 2 colori della mia vita.
Fabrizio ‘82
Da: http://sololalazio.blog.tiscali.it/
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